Ven. 18/04 CAPILLARY ACTION (Pangaea Recordings)


C’era una volta un musicista nativo di Philadelphia, un capacissimo polistrumentista, che un paio di anni fa decise di fare musica. In due anni registrò una dozzina di pezzi e, fortunatamente per lui, riuscì a sottoporli a un bravo ingegnere del suono che frequentava il suo stesso college in Ohio. Per tutto l’anno successivo, i due lavorarono sodo, soprattutto nelle loro stanze e diedero vita a dieci splendidi brani. Nonostante il consenso del pubblico che ebbe la possibilità di ascoltarli e il duro lavoro di promozione, Fragments non destò interesse in nessuna label. Forse per il suo sound difficilmente inquadrabile, l’album riuscì a vedere la luce solo quando il musicista prese la decisione di fondare una sua etichetta e liberare la sua musica.
Il personaggio di questa storia - una storia di tutti i giorni per molti musicisti, oggi più di ieri - è Jonathan Pfeiffer, con la sua one-man-band Capillary Action e l’etichetta è la Pangaea Recordings, nata nel 2004. Si sia trattato di audacia imprenditoriale o semplicemente di amore e convinzione per la propria musica, poco importa. L’importante è che questo disco finalmente, dopo due anni di vita nel limbo dell’auto-distribuzione tra amici e parenti, lo si possa ascoltare. E ne vale la pena.

Fragments, frammenti. Difficile trovare un titolo migliore per sintetizzare il senso di una musica molteplice, caleidoscopica. Sarebbe difficile anche soltanto immaginare di classificare questo disco, tanta è la sua varietà. Duri e complessi riff prog-metal accostati al rock sognante degli Stereolab (Thicking Ghosts 1 e 2); il folk di Driving through twilight, che ricorda la Band di Garth Hudson e Robbie Robertson e subito dopo, spiazzante, il quadretto bossa nova dal sapore lounge di A hundred pages of cannot be named.
Tutto questo e altro è la musica di Capillary Action. Altro come, per esempio, la citazione più che evidente di Brain Damage dei Pink Floyd che fa da motivo portante di Pillars disintegrate o il riff alla Iron Maiden di Architecture would fail, che si trasforma prima in un free noise in stile Naked City, poi in un intenso finale psichedelico. Una sorta di piccola enciclopedia del rock secondo Jonathan Pfeiffer, che va però oltre la semplice citazione. Fragments è un album che fa della giustapposizione il suo metodo generatore: tutto è accostato con grande libertà, ma con un’intelligenza musicale che riesce a legare insieme gli svariati pezzetti e a costruire straordinari edifici musicali.
Fa rabbia pensare che, forse, se questo esordio fosse uscito un paio di anni fa, oggi staremmo già godendoci l’opera seconda di questo gran musicista. Invece ci tocca aspettare, e sperare che non si perda d’animo.

(8.0/10) Daniele Follero Sentireascolare

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